ELOGIO DEL SINCRETISMO

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ELOGIO DEL SINCRETISMO

comunicazione ai gesuiti impegnati nella relazione islamo-cristiana,
 La Baume, aprile 2002

P. Paolo Dall'Oglio S.J.





Sincretismo equivoco ed equivoci sincretismi


Nei documenti ufficiali della Chiesa, o negli articoli di alcuni teologi cattolici, ci si imbatte in un onnipresente ritornello ogni volta che si parla di dialogo: "dialogo si, ma senza equivoci sincretismi". Si trovano anche espressioni analoghe in contesti simili.
Non si capisce se ciò che viene rifiutato sia ogni sincretismo, perché equivoco, oppure se si tratta solo di rifiutare esclusivamente i sincretismi ritenuti equivoci.
Rare sono le definizioni di sincretismo e la sua condanna sembra essere sovente un'operazione con funzione di protezione identitaria. Qualche volta si ha persino il dubbio sul motivo del largo accordo contro il sincretismo tra capi religiosi, che sembrano piuttosto preoccupati di non vedere disperse le rispettive greggi o di non perdere il posto. Resta che la definizione del sincretismo (sia quello equivoco che quello non equivoco) non è ovvia; è comunque meno ovvia di quello che si potrebbe credere.
Dove sarebbe mai quella cultura del tutto originale, non fermentata, tormentata, pungolata, innestata, e fertilizzata da elementi esterni ad essa? A prescindere dai casi rari e mai assoluti di popolazioni rimaste isolate per motivi geografici per moltissimo tempo, e dove quindi cultura e sistema di identificazione identitaria si sovrappongono, si può affermare che la cultura umana è sincretica di natura. La religiosità umana, parte e dimensione essenziale della vita culturale, è essa pure sincretica, come ampiamente dimostrato dallo studio comparato delle religioni.
Non sarei in grado di descrivere compiutamente attraverso quale progressione storica e psicosociale si formino quei sistemi identitari che si vogliono mantenere puri in se stessi, non contaminati, diversi, originali, autonomi e soprattutto più veri o i solo veri ed autenticamente legittimi.
Facciamo un esempio. L'Impero Romano era culturalmente, simbolicamente, religiosamente sincretico, pur trovando nell'istituzione imperiale e nella legislazione romana, oltre che in alcuni miti fondanti, i meccanismi di coagulo cultural-simbolico necessari alla salvaguardia del sistema. La grande cupola del Pantheon romano costituisce un'espressione forte e sintetica di quel sistema sincretico. È interessante che quel sincretismo risulterà poi abbastanza ideologico da organizzare il rifiuto violento del cristianesimo nascente.


Sincretismo e cristianesimo


Probabilmente la radice del rifiuto cristiano del sincretismo va cercata in quel processo di cristallizzazione  identitaria ebraica di cui la Bibbia è assieme testimone, in quanto documento, ed anche in quanto elemento motore. E ciò avviene senza che il sistema religioso ebraico smetta di essere aperto ad influenze esterne e quindi anch'esso in definitiva sincretico.
C'è voluto tutto il lavoro della critica biblica moderna per uscire dall'affermazione aprioristica secondo cui la Bibbia sarebbe incontaminata da ogni esterno influsso (a titolo di esempio basti ricordare i miti mesopotamici della creazione, del diluvio e del giusto perseguitato, come pure gli influssi egizi e gli antichi fondi tradizionali di cultura orale dei nomadi semiti).
È utile distinguere qui tra una determinata cultura religiosa, delimitata storicamente, geograficamente, linguisticamente, e tra l'autocoscienza identitaria costituitasi in sistema. Per la cultura religiosa si può dire che, in generale, l'elemento sincretico è percepito come presente e costituente e non come necessariamente snaturante, deviante o spersonalizzante. Invece, per la coscienza identitaria legata ad un sistema di appartenenza, il sincretismo diventa lo spauracchio della corruzione di tale sistema identitario. Si può dire semplicemente che, come soggetti culturali, siamo prodotti e autori di sincretismo, mentre, in quanto soggetti appartenenti ad un più o meno coerente sistema di identificazione identitaria, tutti temiamo il sincretismo corruttore, deviante eppur nostro malgrado dinamizzante.
Esiste certo un sincretismo immediatamente colorato, per molti ed anche per noi, di negatività perché sinonimo di fragilità e superficialità identitaria, di cultura subalterna, di ricettività acritica ed anche di cattivo gusto estetico. Sarà questo un sincretismo onnivoro, al confine del delirio pseudomistico della schizofrenia, sincretismo kitsch, senza nobili radici né possibilità di fertili prospettive. Il fatto che la cultura televisiva globale, simile alle decorazioni dei grandi alberghi internazionali, sia l'espressione d'un generalizzato, superficiale e pauperizzante sincretismo, non meraviglia ma dispiace. Giusto per fare un solo esempio, il concetto di reincarnazione finisce con l'essere un volgare espediente consolatorio per la religione degli oroscopi di ultima pagina d'una gran parte del mondo. Da questo punto di vista, e ci si potrebbe largamente diffondere nella descrizione di tali fenomeni, siamo d'accordo con chi definisce il sincretismo come un fenomeno equivoco e pericoloso.
Di fatto, e fin dai primi secoli, la Chiesa conosce il pericolo del sincretismo gnostico, iniziatico, manicheo ed esoterico. Occorre, come cristiani, essere coscienti che si tratta qui di difendere l'originalità della fede-esperienza della Chiesa in Cristo davvero morto e risorto e davvero divino ed umano. Da qui la possibilità di mettere a punto dinamicamente un metodo di discernimento dell'ortodossia che si potrebbe utilmente utilizzare per analogia nell'individuare il forviamento originale dello spirito umano e della cultura religiosa anche nelle altre tradizioni religiose (ad esempio il pensiero ariano e quello mu‘tazilita sono analoghi, e certe tentazioni magico, misteriche e strumentali si ritrovano abbastanza simili in correnti esoteriche buddiste, indù, vudu, cabbalistiche, sufi da baraccone e di devozione popolare ipermiracolistica a simbologia cristiana... per non parlare di satanismi e plagi volti ai fini più immorali).  
Il fatto è che, a mio parere il sincretismo mondiale, come d'altronde la pietà popolare, è, come la globalizzazione, un fenomeno da razionalizzare, convogliare e correggere più che qualcosa da condannare aprioristicamente. Mille volte ci siamo dovuti inchinare a riconoscere l'umiltà dello Spirito di Dio che viene ad incontrare la persona nel fango della perversione religiosa la più equivoca, e ci è stato chiesto di comprendere senza condannare al fine di favorire l'avviarsi per gradi verso una visione più limpida. Quante volte poi abbiamo noi stessi fatto l'esperienza del Signore umile che viene a prenderci nel buio e nello sporco della nostra condizione.


Inculturazione e fedeltà identitaria


Dal punto di vista cristiano si può dire onestamente che la storia del pensiero ecclesiale viva un movimento altalenante o pendolare fra due poli: uno è quello della grande apertura interculturale d'una parte del cristianesimo primitivo, con i relativi rischi di "equivoci sincretismi" e che ha permesso all'esperienza cristiana, al Cristo-Chiesa, di continuare ad incarnarsi, inculturarsi diremmo noi, assumendo ed unendosi, trasfigurandoli, i più svariati complessi simbolici.
L'altro polo è quello della fedeltà identitaria, che spesso si mostra nell'assolutizzazione del sistema di riferimento identitario, attraverso la cristallizzazione culturale e la consacrazione e fissazione tradizionale.
Lo sforzo della Chiesa occidentale del XX° secolo, di emanciparsi dalla sua antica inculturazione nel contesto ellenistico e nel sistema di pensiero neoplatonico, insieme con il desiderio di tornare alla purezza biblica, come vuole un certo giudeocristianesimo ed ebreofilia contemporanei, è sicuramente un'operazione dettata da buone intenzioni, ma rivelatrice a volte d'un'irrisolta angoscia nel rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo, talmente interculturale ed interreligioso. (A guardar bene, anche l'influenza dell'ellenismo sul giudaesimo storico fu immensa.)
Resta la libertà d'ogni gruppo umano, ed anche il bisogno, di crearsi un "corpus" di elementi tradizionali o dottrinali più o meno sistematizzati, attraverso i quali si garantisce l'omogeneità del gruppo e la sua stabilità ed originalità identitaria: "Noi siamo così e non siamo colà".

Il mondo di oggi sembra squartato, diviso, tra due tendenze. La prima è generalizzata, ed apparentemente vincente, ed è quella del formarsi progressivo d'un vuoto sincretismo consumistico, costruito in definitiva sulla superiorità economica e tecnologica dell'Occidente; dove l'Occidente stesso, estremamente contraddittorio, finisce col sintetizzare il sincretismo onnivoro con la consacrazione della superiorità della radice culturale giudea e cristiana.
La seconda tendenza è quella della reazione alla globalizzazione culturale, attraverso la rivendicazione dell'originalità identitaria e della peculiarità culturale; si tratta dell'arroccamento all'interno di sistemi dottrinali chiusi, autoconservativi, facilmente fondamentalisti, sempre in difesa e spesso in attacco.


Gesuiti e sincretismo


Rivolgendosi ad un gruppo di gesuiti come in questa occasione, non si può non vedere che la spiritualità ignaziana, a partire dalla dinamica degli Esercizi, tende a riproporre la grande dinamicità spirituale e culturale legata all'esperienza della relazione personale al Gesù persona, pietra d'angolo su cui tutto l'edificio vivente, e quindi dinamico, è costruito ed ordinato. Non meraviglia quindi che le prime generazioni di gesuiti, apostoli dell'universalità del loro Gesù e del suo Corpo che è la Chiesa, siano stati capaci di arditi tentativi di nuove inculturazioni come pure di profondi rinnovamenti delle ereditate e già consacrate tradizioni.
Nel caso dei cristiani quindi, e forse più particolarmente dei gesuiti, l'elemento costitutivo sul piano identitario è innanzi tutto quello della relazione mistica con Gesù vivente, risorto, nella Comunità che celebra il mistero della relazione di Gesù con Dio Padre nello Spirito. Questa celebrazione implica e spinge ad un'incarnazione continua, vasta, articolata, che può apparire, e in un certo senso è, sincretistica. Il farsi "tutto a tutti" è l'elemento fondante la fedeltà cristiana insieme originale e sincretica.
Quante volte mi è capitato di spiegare ai musulmani che non c'è un modo specificamente cristiano di digiunare e che, a prescindere dal valore universale del digiuno sul piano ascetico e spirituale, sarebbe "cristiano" digiunare "come gli altri": quando si è in contesto ebraico, "come gli ebrei con gli ebrei"; quando si è in contesto musulmano, "come i musulmani con i musulmani"; quando si è in contesto indù, "come gli indù con gli indù"; e quando si è in contesto new age, "come i new age con i new age"; salvaguardando però la libertà cristiana e la legge della carità.
Se è così per il digiuno, così sarà per tutti gli altri elementi della religione, laddove, con discernimento, tutto in Gesù ci appartiene e, come dicono gli arabi: "laysa harâman illa al-harâm" "solo ciò che è immorale è vietato". Con ciò non si vuol levare niente al valore, al significato ed al diritto all'autoconservazione dei gruppi cristiani costituiti e tradizionali, i più diversi e dispersi nel mondo, sia in forma di Riti, scuole, ordini o più modernamente di movimenti; a patto che tutti si riconoscano nell'elemento costituente la "cattolicità", cioè la capacità di riconoscersi fratelli in Cristo e costituenti un'unica vivente comunità mistica e storica attraverso, e non malgrado, le multiformi diversità.
Il munus petrino, il servizio papale, al quale siamo costituzionalmente legati come gesuiti, risulta essere il corollario operativo e non la sorgente di quest'elemento fondante la cattolicità, che è poi l'elemento per il quale noi cattolici crediamo che la Chiesa di Cristo sussista nella Chiesa Cattolica e che ciò non gli impedisce poi di sussistere in diversi modi anche al di fuori dei confini visibili di essa.
Dopo aver parlato per vent'anni d'inculturazione, i gesuiti sembrano oggi più interessati a parlare di dialogo. Un po' è perché l'inculturazione sembra travolta dal globale (che supera le diverse culture locali), ed un po' perché essa può sembrare ad alcuni un ultimo espediente di raffinato proselitismo, oppure, al contrario, un cedimento dell'originalità cristiana di fronte alla "tentazione sincretistica".


Inculturazione nel mondo musulmano


Nei confronti dell'Islam, abbiamo sperimentato, negli ultimi venticinque anni, una forte resistenza ecclesiale, forse particolarmente in Oriente, verso la legittimità d'una coraggiosa inculturazione della fede cristiana in contesto arabo-musulmano, quasi che costituisse un pericolo per il cristianesimo locale di radice greco, copta, siriaca o armena.
Non siamo così sprovveduti da non vedere le difficoltà metodologiche, dogmatiche e sociali d'una radicale inculturazione della fede cristiana in contesto musulmano. Qui per radicale si intende qualcosa che superi il folclore degli abiti, dei tappeti per terra e dei piedi scalzi in chiesa e d'un uso corrente della lingua religiosa musulmana. Qui si tratta, come diceva Massignon, di mettersi nell'asse di destino di colui che amiamo. Qui si tratta d'essere un seme gettato, che permetta alla terra di dar frutto, ed un lievito che consenta alla pasta tutta di lievitare per il nutrimento di molti. Qui si tratta di sposare l'Islam a Gesù di Nazareth vivente nella Chiesa, nell'oggi drammatico, contraddittorio e doloroso del mondo musulmano. Qui si tratta di attualizzare le benedizioni ottenute da Abramo per il figlio Ismaele, benedizioni riproposte e nuovamente annunciate e realizzate in Muhammad, il Profeta arabo sulla linea di Ismaele, la linea della natura, del rapporto con Dio nella relazione creaturale...

Cosa fare, si dirà per l'ennesima volta, del rifiuto dogmatico del mistero trinitario, dell'Incarnazione e della Croce? Come liberare l'Islam dall'ingessatura legale e legalista, come superare l'atteggiamento istituzionale dell'Islam come polemico, aggressivo e concorrenziale, malato insieme di vittimismo e di superiorità nei confronti altrui? L'amore cristiano, il cuore cristiano ha ragioni che le logiche umane non conoscono e annuncia cambiamenti che gli storici e gli esegeti non possono prevedere.
Il grande mistero dell'Islam, che scandalizza la Chiesa da quattordici secoli e che pone tutta una serie di drammatici interrogativi sullo svolgersi provvidenziale della storia, non può essere interpretato semplicemente nella logica del principio di non contraddizione, ma nella logica del principio d'amore, l'unica capace di superare le contraddizioni per via di trasfigurazione, non di soppressione. Per esempio cosa fare del  rifiuto musulmano della Croce? Una sterile polemica? Oppure l'occasione d'un'interpretazione legittima del Corano per via di testimonianza, di martirio?
Nell'intelligenza di fede di tale mistero sembra corretto discernere l'opportunità soteriologica del rifiuto d'Ismaele, in qualche modo analoga al rifiuto d'Israele.
La Chiesa sacerdotale celebra, penetrando nel Santo dei Santi della presenza sacramentale di Cristo, oltre l'iconostasi, una trascendenza della quale essa è assieme veicolo ed inciampo a causa della sua autoassolutizzazione discriminante, la quale perciò stessa definisce un ruolo polemico e profetico, rivendicativo di giustizia per coloro "lasciati fuori", siano essi le donne, i poveri o i musulmani.
 Fedeltà e futuro.

Nel mondo del dopo 11 settembre non è più lecito a nessuno rimanere uguale a se stesso, né al mondo musulmano né a quello occidentale: una coraggiosa ed escatologica interpretazione dei testi sacri si impone.
Non è necessario immaginare delle sintesi omogenee e coerenti, benché sincretiche. Di fatto anche gli arroccamenti identitari svolgono un ruolo non sempre negativo nella logica globale: ruolo equilibrante e di conservazione di valori. Ma certo i giovani di oggi, penso ai pellegrini di verità, ai giovani viandanti da tutto il mondo che passano dal monastero di Mar Musa, a grandissima maggioranza pongono una stessa domanda alle tradizioni religiose: "Qual è la capacità della vostra tradizione di partecipare alla costruzione d'una cultura spirituale globale, in fedeltà a se stessa ed in autentico rispetto e valorizzazione delle altre religioni?"
Dalla risposta a questa domanda dipende la credibilità dell'interlocutore. La fedeltà, dal punto di vista cristiano, non è fissità. L'interpretazione spirituale dei testi e la capacità di profezia è la fedeltà che la Sacra Scrittura di Gesù ci chiede. Molti musulmani già la praticano sospinti da quello stesso Spirito che scese su Cornelio. Quanto meravigliosa è la fantasia dello Spirito nel confondere la meccanicità e possessività delle nostre menti per attrarci su sempre nuovi orizzonti, come Pietro a camminare fiduciosi sulle onde del vasto mare del futuro.


Una doppia appartenenza?


È un fatto che non sono più pochissimi i musulmani che si sentono a casa nella Comunità cristiana e monastica di Deir Mar Musa e che si interrogano sul grado di Islam del suo fondatore. Questo non avviene attraverso mimetismi e camuffamenti o sconti sulla fede cristiana, che vogliamo ortodossa, intera, fedele alla sua propria dinamicità, ma attraverso un sentirsi a casa, culturale, linguistico, simbolico nel mondo musulmano, desiderando di farne parte e votandosi ad amarlo a cominciare da Muhammad, su di lui e la sua Ummah la pace e la benedizione di Dio!
Mi ritengo personalmente musulmano? Penso di si, per grazia ed obbedienza evangelica. Sono musulmano a causa dell'amore di Gesù per i musulmani e l'Islam. Non posso che essere musulmano secondo lo Spirito e non secondo la lettera. Così come Gesù e gli apostoli sono ebrei secondo lo Spirito.
È legittima tale doppia appartenenza? È possibile? Di fatto non nascondo ai miei amici musulmani il mio convincimento né lo nego con i cristiani. Il che non significa che se ne possa parlare apertamente con tutti ed ovunque. Di fatto non credo che sia ammissibile , seppure con le migliori intenzioni, di unirsi ad esempio alla preghiera pubblica dell'Islam. Infatti l'Islam vuole essere se stesso senza lasciarsi assorbire da altri attraverso abili contorsionismi teologici. Sono anche convinto della provvidenzialità dell'irriducibilità polemica dell'Islam, risolvibile solo in prospettiva escatologica, nell'esaurimento della missione di critica e di rammentamento che gli è propria. L'analogia, lo ripetiamo, è quella con il rifiuto d'una gran parte dell'Israele storico d'accettare Gesù come Messia, rifiuto al quale S. Paolo riconosce un ruolo nel misterioso disegno provvidenziale, dal momento ch'esso assomiglia al velo posto sul volto di Mosè.
Penso tuttavia che sia giunto il momento che persone d'origine cristiana o musulmana possano avere accesso, in arabo, sulla base di categorie e simbologia coraniche, al mistero di Gesù di Nazaret testimoniato da tutte le Sante Scritture, quella analogante (nella dialettica cristocentrica tra primo e nuovo testamento) e quelle analogate. Intravedo la possibilità di esistenza d'una tariqa solidale con il mondo musulmano e parte del Corpo Mistico di Cristo.


Tra l'oggi e l'escaton


Questa Chiesa "islamocristiana", prefigurata in Agar l'egiziana, è già una realtà destinata a manifestarsi al momento del compimento finale delle benedizioni divine per i figli d'Ismaele.
Per ora si soffre la ferita della separazione, del muro dell'inimicizia ancora non del tutto abbattuto... e così spesso ricostruito anche a partire dal misconoscimento cristiano di Gesù nel suo desiderio d'unirsi ad ogni uomo, desiderio che abbiamo riscoperto nell'attitudine evangelica radicale di Charles de Foucauld. Questo muro di non riducibilità protegge l'Islam dall'assimilazione prematura che ne spegnerebbe il carisma, e protegge la Chiesa dalla tentazione imperialistica. Cosippure la separazione garantisce entrambe dalla tentazione di possedere il mondo ed impone un dialogo tra umili.

Non nascondo il mio desiderio d'andare pellegrino alla Mecca e di tornare a Gerusalemme da lì, assieme ad i figli d'Ismaele, la Umma di Muhammad.
Sia chiaro, non desidero alcun mimetismo, non cerco di creare una quinta colonna, un cristianesimo segreto ed infiltrato... Per un verso riconosco che il mistero di Gesù vive già efficacemente nel mondo religioso dell'Islam con Maria sua madre, e vedo che i musulmani sono di fatto in grado d'accettarmi così, monaco, discepolo di Gesù innamorato dell'Islam. Non che sia loro facile, ma vi intravvedono come l'annuncio d'una finale armonia in Dio.
E noto che una certa evoluzione si annuncia nel pensiero e nel rapportarsi dei musulmani con i quali siamo in contatto... e quanto siamo cambiati noi! Non ci è parso d'aver perso Cristo ma piuttosto d'esserci persi per lui ed in lui.


E l'antica Chiesa d'Oriente?

 
I cristiani d'Oriente ci guardano perplessi ed il nostro stesso essere cristiani d'Oriente ci interpella. D'altronde anche il nostro ecumenismo, a Deir Mar Musa, è un po' sincretico, dobbiamo ammetterlo. Ma se è molto difficile per i più fare il salto che esige la scelta vocazionale d'impegnarsi in un progetto di vita di questo genere, è anche vero che cristiani di tutti i Riti dell'Oriente ci visitano e ci apprezzano. Questa Comunità monastica, restituendo restaurato e rinnovato un simbolo della priorità assoluta dell'esperienza mistica a questo Oriente tanto cristiano quanto musulmano, desidera reinventare quella positiva relazione che esistette tra i primi musulmani ed i monaci ai confini dei deserti d'Arabia. Il mondo tradizionale musulmano si è progressivamente arroccato nei secoli in una fissità ed impermeabilità che hanno reso la vita comune con gli ebrei e i cristiani sicuramente proficua sul piano culturale e sociale, ma non più in grado d'offrire nell'oggi risposte plausibili alle domande globali dei giovani. E quindi l'Islam tende o a ributtarsi indietro nella fissità ereditaria o a buttarsi fuori nel pentolone della melting-pot. Mentre i cristiani orientali non riescono ad uscire dalla logica della difesa identitaria per opposizione e separazione, la quale conduce oggi, è statistico, all'emigrazione o la cantonizzazione. I tentativi di proteggere se stessi, attraverso il favorire una società nazionale multiculturale e laica, non riescono ad invertire la tendenza, almeno per ora. A mio parere sono tentativi fallimentari fintanto che negano l'apporto originale dell'Islam al progetto di società comune e sono basati su un'artificiosa separazione tra sacro e profano dove in definitiva non c'è spazio per il riconoscimento dello statuto teologico dell'alterità.


A concludere


Le contraddizioni del cristianesimo non ci appaiono meno flagranti di quelle del mondo musulmano, con l'aggravante dell'utilizzo del cristianesimo e del giudaesimo in funzione della predominanza imperialista occidentale, con il rischio di snaturare e tradire il progetto di Gesù di Nazaret, mille volte ricrocifiggendolo proprio nell'Ismaele escluso.
L'Islam si deve poter reinventare in fedeltà a se stesso ed in apertura al globale, e la Chiesa, invece, pure! Forse entrambe, ed aiutandosi l'un l'altro, devono capire infine che i confini non sono così netti, e che non è volontà di Dio, in prospettiva, che ci siano ancora confini e muri su cui arroccarsi.

Proprio noi gesuiti dall'interno dell'Ordine siamo testimoni non teorici della profondità costituita dal nostro essere un corpo apostolico in nulla separabile dal corpo missionario della Chiesa di Gesù, pur subendo assieme le sfide del processo globale e rappresentando in molti modi una capacità della Chiesa di assorbire, ricevere, apprezzare, valorizzare le tradizioni plurali di questo mondo alle quali siamo inviati. In questo senso siamo tutti "gesuiti cinesi". E chi ci accusasse di sincretismo senza saperlo ci fa un complimento; complimento di cui andiamo fieri fin dall'epoca di Matteo Ricci, anche se qualche volta ci è costato caro.

La situazione scandalosa del conflitto israelo-palestinese, epifenomeno straziante della tensione tra mondo musulmano ed Occidente, non può, non deve, condurre il nostro inconscio collettivo a guardare soddisfatto l'Islam gemere sotto i colpi delle sue proprie contraddizioni  e della superiorità militare e strategica dell'Occidente.
Non possiamo cedere, non dobbiamo cedere, alla tentazione di voler assistere "vittoriosi" all'agonia finale del nostro "nemico " storico più significativo,  perché assisteremmo allo stesso momento alla nostra morte per alto tradimento di Gesù di Nazaret. La vittoria dell'Occidente è la sconfitta del Vangelo. Che tragedia! E povera Gerusalemme!
Quest'anno del terrorismo, dell'Afghanistan, della Cecenia, del Sudan, ancora dell'Iraq e, più di tutti, quest'anno dello scandalo israelo-palestinese, echeggia dei suoni di tromba del finale giudizio. Cosa diranno i gesuiti riuniti? Quale profezia sapranno esprimere? Che strada sapranno aprire, diversa da un prudente argomentare, da uno sterile intellettualismo, da un intelligente  scetticismo o da un disfattismo realista?
Penso che sia ora che questa nostra sezione del corpo apostolico della Compagnia di Gesù, i gesuiti del mondo musulmano e per il mondo musulmano, sappiano infine aiutare la Chiesa Cattolica a guardare l'Islam e i musulmani con gli occhi del Figlio di Maria. Fino a quando si riuniranno Isacco e Ismaele sulla tomba del padre Abramo, il Khalil, per ringraziare Iddio della grande benedizione che li unisce.
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