Lettera agli Amici del monastero di San Mosè l'Abissìno a Nebek, Giugno 2000

 

Jens Petzold, che aveva ricevuto il battesimo quattro anni fa nella chiesa del monastero, ha ora consacrato se stesso a Dio nella professione monastica durante la celebrazione eucaristica del Lunedì di Pasqua. Butros Abo farà lo stesso alla festa della Croce, il 14 settembre, dopo quasi cinque anni di vita nel monastero.

L'impegno di questi due fratelli nella comunità di Deir Mar Musa è un segno importante anche nel contesto d'una più vasta rete di relazioni che forma ormai quasi un movimento, interessando una larga realtà sociale ed ecclesiale.

La vocazione particolare del monastero individua, in modo non esclusivo, un particolare ambito di significato. Innanzi tutto esso è costituito dall'assolutezza della vita spirituale, la preghiera, la contemplazione, nello spazio di riferimento simbolico offerto dalla tradizione orientale cristiana, specie siriaca, e dall'impegno di sintonia e comunione con l'esperienza spirituale islamica. In secondo luogo esso si caratterizza per l'importanza dell'attività lavorativa manuale, intesa come base per vaste implicazioni ambientali, sociali ed economiche, elemento chiave d'un'estetica del corpo dell'uomo e del mondo, nel dialogo della vita. Infine esso è espresso nella pratica quotidiana dell'ospitalità concretizzandosi tanto nella particolarità dell'opzione arabo-islamica che nell'apertura alla globalità in ciò che essa apporta di provvidenziale.

A Deir Mar Musa il mondo circostante delle realtà locali si confronta con l'afflusso di visitatori da tutto il mondo. Ci diverte osservare che una percentuale notevole di visitatori viene da Australia e Nuova Zelanda e che non è indifferente l'afflusso di persone d'origine asiatica. Questo incuriosisce ed interpella anche i nostri vicini, gli abitanti della regione, ed è occasione di largo confronto per i giovani siriani che vivono periodi più o meno lunghi al monastero.

I sogni pakistani ed iraniani, legati al viaggio di Paolo e Jens, non sono certo svaniti e rimangono come parte importante delle prospettive di lungo periodo. Molto presto, invece, alla fine dell'estate, la comunità assumerà la responsabilità, biennale ad esperimento, del piccolo monastero e della parrocchia siro-cattolica della cittadina di Qaryatayn. Qaryatayn è una cittadina nel deserto, a trentacinque chilometri a nord-est di Deir Mar Musa; i dodicimila abitanti sono in maggioranza musulmani e vi è anche una parrocchia siro-ortodossa. P. Jak sarà il parroco dei siro-cattolici e farà su e giù con Deir Mar Musa con un piccolo "pick-up". Il monastero di Qaryatayn risale probabilmente al quinto secolo ed è intitolato ad un antico asceta, Mar Eliyan. Esso si trova ad un chilometro di distanza dalla cittadina ed ha a disposizione un vasto terreno circostante. A meno che il necessario scavo archeologico non dia adito a sorprese, si tratterà per Deir Mar Eliyan, d'una limitata ed armonica ricostruzione, piuttosto che di un restauro. Prevediamo uno sviluppo del progetto di Qaryatayn lento e graduale, anche perché sarà essenziale una piena corresponsabilizzazione della popolazione locale, per ora assorbita dalle angosce connesse ad una lunghissima siccità.

Quanto ai diversi settori d'impegno di Deir Mar Musa:

- La costruzione del monastero femminile prosegue lentamente, ma con sicurezza. Il primo piano è quasi pronto sulla base di due piani seminterrati, necessari dato che il pendio è molto scosceso. La realizzazione del ponte-corridoio, che unirà la costruzione antica alla nuova, prosegue alacremente. I lavori della piccola diga si accellereranno durante l'inverno

- Il progetto culturale si è concretizzato quest'anno in quattro seminari di studio e in un vasto sviluppo della biblioteca. Il monastero costituisce ormai, seppur timidamente, una realtà nel panorama teologico ed interreligioso locale, e si aprirà a contatti più vasti anche attraverso un sito internet (www.deirmarmusa.org).

- In autunno fummo impegnati a collaborare alla preparazione della tappa a Damasco del pellegrinaggio in Terra Santa del Cardinal Martini, Arcivescovo di Milano, con un gruppo della sua diocesi, implicando un riuscito risvolto ecumenico e interreligioso. Ora si tratterà di pregare e cooperare per l'annunciato viaggio papale in Siria nel 2001.

- Dal punto di vita ambientalistico ed agroforestale, il nostro lavoro degli scorsi anni centrato in gran parte sulla conoscenza e la valorizzazione della locale biodiversità, sta diventando il punto di partenza per dei progetti più vasti, nei quali il monastero giocherebbe oramai solo un ruolo di compartecipe e non più di animatore principale. C'è, dal punto di vista delle autorità civili e della popolazione locale, grande attenzione per ciò che si è fatto nella lotta alla desertificazione e le prospettive sono incoraggianti.

Tutto ciò è legato anche all'evoluzione del nostro modo di ricevere ospiti e visitatori. Si tratta d'una questione delicatissima per la nostra vocazione. Noi siamo felici di ricevere al monastero ogni genere di persone, ma ciò dev'essere fatto in un modo che salvi la vocazione alla vita contemplativa, nostra e di questo luogo. D'altronde la grande maggioranza dei visitatori cerca qui proprio un luogo di silenzio e di spiritualità. Soprattutto in vista del previsto arrivo di strada ed elettricità a mezzo chilometro dal monastero e dell'aumento dell'interesse turistico per il posto, ci è parso che sottolinearne la dimensione ambientalistica potesse costituire una via coerente di salvare il significato culturale e spirituale d'un monastero nel deserto. Con il Ministero dell'Ambiente stiamo lavorando ad un progetto di parco nel quale il silenzio ed il rispetto della spiritualità del luogo non rappresentino un risultato accidentale del progetto, ma bensì un elemento costitutivo di esso.

Sul piano sociale è in crescita l'impegno nei confronti delle giovani famiglie della parrocchia di Nebek, specialmente quelle dei nostri collaboratori. Si tratta di contrastare il rischio reale d'estinzione della locale comunità cristiana; fatto questo che toglierebbe gran parte del suo significato al nostro impegno per l'armonia interreligiosa. Per questo, accanto all'attività di coscientizzazione culturale e teologica, anche sotto l'aspetto catechistico, cerchiamo di essere disponibili ai bisogni di crediti per la casa e per il lavoro. Si tratta ancora di un piccolo seme, che corrisponde però ad una diaconia, ad un servizio, che è inerente in modo radicale alla missione della comunità cristiana.

Sul piano propriamente ecclesiale, godiamo di una bella intesa con il nostro nuovo Vescovo, Mons. George Kassâb, e con i sacerdoti della diocesi, e cresce la collaborazione con i padri gesuiti, dei quali p. Paolo fa parte; come pure è rilevante la ricchezza delle costruttive amicizie con tante diverse comunità e realtà di Chiesa in molte parti del mondo.

Ad un livello più individuale, sopratutto attraverso la pratica degli Esercizi Spirituali, sia d'un mese che più brevi, sperimentiamo la grazia d'aver partecipato alla crescita spirituale di molte persone che ora vogliono impegnarsi più radicalmente al servizio del Regno di Dio, spesso coscientemente nell'ambito della comunione ecumenica ed interreligiosa. Bisogna anche dire che il tipo di ragazzi e ragazze, di cui molti viaggiatori solitari, che approdano al monastero, è sovente d'una qualità umana e d'un coraggio ben al di sopra della media e caratterizzato da una grande apertura spirituale universale.

Quanti e quanto intensi sono i volti dei giovani pellegrini cercatori d'assoluto passati di qui, e quanta speranza ci hanno regalato. Alcuni hanno espresso il desiderio di fermarsi qui, magari dopo la fine del viaggio; altri sognano di analoghe comunità altrove. I semi delle piante del deserto hanno le ali ed il vento li porta lontano.

Accanto a ciò, dobbiamo comunicarvi della sofferenza e perplessità che abbiamo vissuto con Elena Bolognesi per la sua scelta di lasciare la comunità e di cercare altrove i modi del suo impegno di consacrazione monastica. Il bisogno radicale di vita comunitaria e contemplativa di Elena la porta altrove, ma il suo desiderio di coerenza costituirà sempre per noi una testimonianza ed un appello preziosi.

Huda Faddul resta la sola monaca professa della comunità. Di fatto vi sono al monastero altre presenze femminili, più o meno stabili, ed alcune donne si interrogano molto seriamente sul desiderio di raggiungere la comunità nella scelta monastica. Verso di loro Huda gioca con frutto un ruolo di sorella maggiore e spiritualmente esperta. Proprio attraverso le difficoltà di questi anni, si è approfondita la nostra coscienza di voler essere assieme uomini e donne, monaci e monache, segno nella speciale radicalità della castità evangelica, dell'immensa fertilità dell'amore spirituale di Dio, al quale tutte le creature sono chiamate in diversi modi a partecipare. La grande trasformazione antropologica del ventesimo secolo, riguardo all'autocoscienza relazionale e di ruolo sociale delle donne, e dunque degli uomini, ci traghetta tutti da un mondo segnato dalla subordinazione, la separazione e la diffidenza, verso la sintonia nella comune umanità, la parità, la solidarietà e reciproca e fiduciosa stima. Ingenuo chi pensasse che ciò possa avvenire senza derive, anche gravi, dovute ad una scarsa coscienza di peccato, specie quello della sete di potere e della sopraffazione, alla diffusa immaturità e compulsività affettiva e sessuale, e ad un'eccessiva sicurezza in se stessi e chiusura verso l'esperienza umana e spirituale delle passate generazioni.

Cari amici, in conclusione a questa prima parte della lettera (la seconda parte è una riflessione non facile di p. Paolo), non può mancare un sentito grazie per l'aiuto che molti di voi ci hanno offerto affinché questo sogno non svanisca. In effetti, la recessione economica in Siria e l'aumento del costo della vita, uniti alla debolezza dell'euro, rendono le cose non proprio facili per noi. Il tempo in cui il monastero potrà essere più o meno autonomo economicamente è ancora molto lontano. Il fatto che in questi anni non abbiamo mai trovato un super amico che volesse coprire il grosso delle spese è in definitiva un segno ed una grazia. Dovendo, per forza di cose, continuamente comunicare i nostri sogni e bisogni a molte persone, e ricevendo poi l'aiuto da tante fonti diverse, abbiamo assistito al costituirsi d'una rete di solidarietà e di significativa e responsabile amicizia davvero sorprendente.

Non siate perplessi nel mandare un aiuto che può sembrarvi piccolo di fronte alla vastità dei progetti che vi proponiamo. Il vostro aiuto è sempre grande e generoso per ciò che significa ed esprime; e tutti siamo piccolissimi di fronte al progetto di Dio nella nostra vita. Più di tutti forse ci sentiamo piccoli noi della comunità, che vediamo tante persone rivolgersi al monastero per aiuto e a cui non potremmo dar nulla se la buona Provvidenza, per intercessione di San Mosè e degli antichi monaci, non ce ne desse i mezzi attraverso la rete della vostra generosità. È ormai più del dieci per cento delle diverse fonti di reddito, nelle quali abbiamo libertà morale di destinazione, quello che distribuiamo a chi attende aiuto. Ciò oltre all'amministrazione di quanto ci viene affidato, come già destinato alle persone in bisogno. Cerchiamo di operare non a pioggia, ma con interventi puntuali, connessi con la presenza della comunità monastica nel tessuto sociale, in vista d'un'evoluzione di esso verso una più grande giustizia, più attenzione alle persone, in modo particolare verso le donne, e più cosciente armonia interreligiosa.

Grazie infinite dunque e come al solito il cordiale invito a venirci e a rivenirci a trovare.



Profezia, Persona, Futuri

Non è solo in funzione della relazione islamo-cristiana, tanto mediterraneamente che globalmente, che è opportuno riprendere il tema della profezia.

La profezia e l'atto di fede costituiscono i due aspetti di una sola realtà. Si tratta della possibilità e della capacità di accogliere la presenza e l'iniziativa del Dio personale in fondo al cuore ed in cima all'anima, nella comunione dello Spirito. Tale presenza dell'Ospite Divino nella persona è razionale e creatrice: Adamo, microcosmo, è coranicamente creato ad immagine dell'universo per l'ordine divino "sii", ed "è", nella storia fino alla consumazione (cfr. Corano III, 59). Gli angeli, dunque le potenze spirituali, sono invitati a prostrarsi ad Adamo (cfr. Corano II, 34; VII, 11; XXXVIII, 71-73) formato dalla terra e dal soffio (cfr. Corano XV, 28-29; XXXVIII, 71-72) poiché egli è profeta, pronuncia cioè i nomi, i significati, che Dio gli ha rivelato, conosce ciò che gli angeli ignorano (cfr. Corano II, 31-33).

La terra riceve la forma come le lettere il senso. La persona è iscritta come una tavoletta di creta stilata in cuneiforme.

Adamo tratto dalla Terra, Eva da Adamo. Corrispondenza sorprendente. Il Soffio penetra Maria, il Verbo vi è formato uomo.

Le nostre origini adamitiche si perdono a ritroso in infiniti processi evolutivi. Mentre la nostra idea del futuro, dopo che è ora doverosamente possibile immaginarlo come una progressiva evoluzione dell'umano fuori del pianeta, verso una dispersione spazio-temporale potenzialmente infinita, diventa una nebulizzazione dell'istante presente. Solo l'arco della vita personale, legato ad un inizio creativo e ad una fine mortale, costituisce l'analogante chiave superstite per l'interpretazione dell'esistere.

Sicché Gesù figlio di Maria, la persona, nella drammatica "pretesa" di distruggere in se stesso e di ricostruirvi il Tempio, immagine del Cosmo, luogo della Gloria, si pone come culmine e sorgente di senso, di vita, di luce, per i suoi discepoli, che in lui, nell'arco della vita di lui, riconoscono il disegno d'una benevolenza che tutto abbraccia. Per questo egli, dopo aver gustato con Maria l'abbandono, dichiara che tutto è compiuto. Ma il discepolo, che riconosce la nascita mistica della Chiesa nel fuoriuscire del sangue e dell'acqua dal lato destro di tal Tempio, dichiara che solo ora tutto ha inizio.

Il Corano criticamente sottolinea l'analogia, anzi l'identità di Adamo e di Cristo (Corano III, 59) (nella Bibbia cfr. Rm. 5,14; 1 Cor. 15, 20-22, 45-49). Il discepolato della Chiesa a Gesù di Nazareth si incastona, come superamento della legge, nella ricreazione della persona, l'altro della Relazione, uomo-donna, Dio-io, tra la cima del Sinai, la profezia mosaica, e la grotta di Hirâ', la profezia mohammadica. Mentre Elia, anzi, lo spirito di Elia, di Enoch e di Giovanni, continuamente ritorna ed è rapito in cielo su di un carro di fuoco divino.

Mosè, con il quale Dio parla faccia a faccia, ancora annuncia la venuta dell'Unto; così pure Mohammad, sul quale la Parola oracolarmente discende, ne annuncia il finale ritorno.

Ogni profezia si gioca in un ambito linguistico particolare e necessariamente equivoco. Se ciò non giustifica l'assolutizzazione fondamentalista di questa o quella espressione profetica, neppure consente l'esercizio d'un dubbio ingenuo sulla verità e la sincerità dell'esperienza profetica. È solo attraverso un'intelligenza spirituale, praticata nel futuro del dialogo e della comunione, che è possibile, al discepolo del Nazareno, raggiungere la verità d'una profezia monoteista così radicale, così polemica, così apparentemente anticristiana come quella mohammadica. Ciò è possibile risalendo in spirito la corrente della tradizione di devozione delle anime sincere, oranti, sacrificate dei santi e delle sante musulmani verso il Profeta dell'Islam.

Un discepolo di Gesù ha parlato del velo di Mosè opportunamente calato ad impedire la comprensione del mistero assiale del Golgota, affinché il Mistero non restasse prigioniero di un particolarismo (cfr. 2 Cor. 3,7-18). Così pure quello stesso velo è steso nel Corano per vietare, impedire e punire l'uso di tale mistero santo per fini di potere e possesso nel mondo "cristiano".

Vi sono differenti generi di post-cristianesimo: quello d'una profezia storicamente post-cristiana,come l'Islam, o quello del proseguire, ulteriore e cosciente, delle tradizioni religiose pre-cristiane, come l'Ebraismo, ed extra cristiane, come l'Induismo e il Buddismo, ed infine quello del moderno e post-moderno rifiuto della pretesa dei testimoni della tomba vuota. E tutti girano, in forma centrifuga o centripeta, attorno a quell'asse, stendendo sul Cristo un vasto sudario.

Come si rapporteranno dunque i discepoli di Gesù con tali post-cristianesimi? Potranno rifiutarli come opera di Satana; oppure potranno sopportarli in attesa della manifestazione finale della Luce; o infine potranno amare, in una dinamica di funzioni relative le une alle altre e reciproche, per costruire speranze partecipate in futuri condivisi.

Proprio in questo 2000, nel quale le Chiese si sono sforzate di dimostrare la centralità storica dell'avvenimento-Cristo, sembra dimostrarsi invece in filigrana il fallimento storico del cristianesimo. D'altronde il fallimento dell'universalismo cristiano non consacra il successo d'un'altra forma di globalità sia pure apparentemente più imponente ed efficace. Il fallimento del sistema cristiano sembra corrispondere ad un processo adeguato alla ricostruzione del discepolato a Gesù in quanto relazione interpersonale. Da tale ricostruzione deriva la fedeltà al valore mistico, superstorico, della persona umana nel divino esser figli.

Futuro, escatologia, dunque; li riscriveremo assieme, uomini e donne di questo tempo plurale, disperso ed assieme globale ed omogeneizzante, tendenzialmente imperiale.

Il periferico uomo di Nazareth ed i suoi discepoli, si vogliono testimoni d'una definitività della dinamica del dono, dell'offerta, della comunione, luogo simbolico, efficace, del passaggio all'infinito, all'eterno.

Altre tradizioni sono altrimenti testimoni di queste come di altre esigenze. L'escatologia la riscriveremo, la faremo, la realizzeremo assieme se saremo capaci di penitenza, di perdono, di comunione, di tollerante dialogo, di relazione amante. (Accedere devotamente alla verità dell'altro, condizione della testimonianza alla verità che è in noi). Perciò è buono poter praticare dialetticamente delle appartenenze identitarie plurali e dinamiche al fine di favorire delle ermeneutiche incrociate dei futuri. Ciò non sarà possibile se non nell'accogliere attento e nello sviluppo del dono profetico al centro della personalità di ciascuno, nel silenzio, nell'ascolto, nell'oracolo. Infinita Pentecoste dello Spirito nell'oggi: in uno sforzo a morte, nella divinizzazione attraverso la relazione, ogni relazione, dalla più mistica alla più materiale. Spirito, oltre la lettera; Parola, nell'umida terra dell'oggi, nel comune corpo del Verbo, il mondo.

Umilmente, fermamente, ci opporremo agli steccati delle appartenenze bloccate; come pure resteremo fedeli alla verità delle tradizioni nelle loro originalità ed interconnessioni complementari e correttive, punitive a volte, salvifiche spesso. In diversi luoghi e modi si vanno costituendo progressivamente delle identità ponte, più o meno solide. Di più, un tessuto cibernetico interconnettivo abbiglia il mondo d'un nuovo e comune abito linguistico, virtuale immagine della più reale ed efficace comunione dei santi. È l'ora d'una nuova profezia; non tanto di nuovi profeti, ma di tutti noi, profeti.

Allora, in questo guardare indietro e avanti, a largo, siamo colti da infinita commozione, compunzione e consolazione.

p. Paolo

Italian

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