Anche la mia sulla Lettera dei 138

Mi ha telefonato un ecclesiastico importante nell’ottobre del 2007 e mi ha detto: “Hai visto la lettera dei 138 rappresentanti musulmani al Papa ed ai Capi delle Chiese ‘Una Parola Comune’? È sull’Amore di Dio e del Prossimo; deve averla scritta un cristiano, è troppo evangelica!”
In effetti questa lettera è frutto di un vero sforzo di fede e di ascolto. C’è dietro, per molti dei firmatari, l’esperienza del dialogo e della relazione interculturale confrontata al metodo scientifico in ambiente universitario internazionale. Insieme con il coro cristiano di apprezzamento, guidato ormai autorevolmente dal Papa, trovo anch’io la lettera bella e positiva, frutto di tanti anni di confronto e ricerca. 
Dopo la conferenza di Benedetto XVI a Ratisbona, mi chiamò un capo musulmano allarmato ed amareggiato… Lo rassicurai annunciandogli che si aprivano così tempi nuovi per il dialogo, più profondi e franchi. L’involontaria provocazione avrebbe portato buoni frutti. La questione della violenza religiosa e della ragionevolezza del credere è stata posta stabilmente al centro della riflessione interreligiosa.
Sinceramente, la mia prima reazione alla Lettera dei 138 era stata freddina. Mi pareva, deformato dagli applausi, un testo concordista, adatto ad una visione buonista delle religioni e volto a giustificare in definitiva l’appiattimento dei teologi cristiani e musulmani al ruolo di portatori d’acqua dei poteri costituiti; un testo insomma “politicly correct”, tutto il contrario d’una teologia interreligiosa della liberazione! Nel frattempo violenza ed ingiustizia impazzano ed i poveri e gli inermi, cristiani e musulmani, ne pagano ovunque l’orrendo prezzo.
Durante la meditazione serale, un versetto del Corano mi ha colpito: “Giobbe invocò il suo Signore: ‘Ecco, sono investito dal malore, ma tu sei assolutamente compassionevole!’” Mi è parso allora di cogliere nuovamente, esistenzialmente, qualcosa dell’esperienza intima del Profeta Muhammad… Mi pare che ciò che sfugge di più ai cristiani, nella relazione coi musulmani, sia la carica affettiva e sincera, amorosa, che il monoteismo muhammadico comporta. Le opposizioni tra giustizia e misericordia, paura  e speranza, destino e libertà, tragedia e beatitudine sono trascese, levate e risolte nell’Uno divino in definitiva misericorde … senza trucchi teologizzanti, ma nel paradosso attuale ed immediato dell’evento relazionale divino-umano.
Mi son dunque deciso a scaricare da internet il testo arabo della Lettera dei 138 e me lo sono riletto con più calma. La struttura del testo è semplice. La prima delle due sezioni della parte iniziale lega la confessione monoteista musulmana all’amore di Dio. L’organo spirituale di questo amore è il cuore, concepito in un modo analogo a quello biblico. L’amor di Dio si esprime nella lode, nel rendimento di grazie e nella devozione che tende all’unione. È amore reciproco, basato sul perdono divino e sulla grazia, fatta all’uomo, della sincerità.
La seconda sezione riguarda l’amore biblico, e più specificamente evangelico, per Dio, l’Unico (cfr. Mc 12, 28-31). Qui si vuol fondare la convinzione musulmana dell’ortodossia originale del monoteismo biblico tanto ebraico che cristiano. Si tratta d’una esigenza teologica fondamentale per i musulmani. Qui sta l’essenziale di questa “parola comune” sulla quale è urgente convenire per costruire la pace nella giustizia.
La parte seconda tratta dell’amore del fratello, o del vicino (il prossimo). Le sue due sezioni sono dedicate di nuovo alla tradizione musulmana e a quella cristiana. Si deve sottolineare la volontà degli stesori di esercitare la capacità di rapportarsi ai testi, sia coranici che biblici, con rispetto ed insieme con larghezza di vedute ermeneutiche. Non si fa dire ai testi ciò che si vuole, ma, allo stesso tempo, si assume la responsabilità di enuclearne il messaggio essenziale per noi oggi.
 L’ultima parte, la terza, riguarda l’invito a “convenire ad un’espressione comune” puramente monoteista. Il versetto coranico (Cor 3, 64), che contiene l’invito, è interpretabile più o meno polemicamente. La scelta degli stesori è quella di evitare polemiche ed operano in questo senso una rilettura incisiva e forse duratura del testo coranico. Questo testo è posto dalla tradizione in relazione alla proposta di un’ordalia, da parte del Profeta, ai cristiani dell’oasi di Najran: Iddio avrebbe fatto scendere il fuoco della sua ira su chi ne negasse l’assoluta unità associandogli altri nell’adorazione. Gli stesori della Lettera estrapolano preoccupandosi di sottolineare che l’amore di Dio (compatibile solo con un perfetto monoteismo) e l’amore del prossimo sono la base per la collaborazione islamo-cristiana e condizione per la pace mondiale. Ciò comporta che si eviti di divinizzare le creature assoggettandosi al loro potere. “In altre parole – recita il testo – i musulmani, i cristiani e gli ebrei devono esser liberi di rispondere al comandamento divino seguendo ciascuno ciò che Iddio ha loro ordinato, senza prostrarsi a re e simili.” Si lega dunque l’amore del prossimo alla salvaguardia della libertà religiosa (senza affrontare peraltro la questione della libertà di coscienza) e si ricorda ai musulmani il dovere di equità verso i non musulmani che non assumono attitudini aggressive. I musulmani ci tengono a ricordare ai cristiani il monoteismo di Gesù (cfr. Mc 12, 29-31 “Ascolta Israele, il Signore Dio nostro è l’unico Signore …”) per poter vivere assieme l’amore del prossimo. “Come musulmani, diciamo ai cristiani che non siamo contro di loro e che l’Islam non è contro di loro se evitano di far guerra ai musulmani a causa della loro religione, o li perseguitano cacciandoli dalle loro case”. Poi i musulmani si chiedono: “È forse necessario alla religione cristiana il rifiuto dei musulmani?” Viene allora citata la pagina evangelica dove Gesù dice: “Chi non è contro di noi è per noi.” (Mc 9, 40)
Qui, arditamente, la Lettera cita un teologo ortodosso dell’XI sec. che, nel suo commento al Nuovo Testamento sosterrebbe che le espressioni evangeliche inclusive di Mc 9, 40 e Lc 9, 50 (“Chi non è contro di voi è per voi”) non sarebbero in contraddizione con quella esclusiva di Mt 12, 30 “Chi non è con me è contro di me”. Infatti l’espressione in Matteo sarebbe contro i demoni, mentre quelle di Marco e Luca “si riferiscono a coloro che riconoscono il Cristo senza essere cristiani. Ed i musulmani credono in Gesù (pace a lui) in quanto Cristo non nello stesso modo creduto dai cristiani (e comunque I cristiani stessi non sono daccordo sulla natura di Gesù Cristo) mentre la fede dei musulmani in lui è la seguente: ‘Il Cristo Gesù il figlio di Maria è messaggero di Dio e sua parola inviata a Maria ed uno spirito da lui (Cor 4, 171)’ perciò invitiamo i cristiani a non considerare i musulmani come ‘contro di loro’ ed a considerarli invece come ‘con loro’.”
La proposta è che il dialogo interreligioso sia d’ora in poi basato su questa base monoteista comune dell’amore di Dio e del prossimo che riassume la Legge e i Profeti (cfr. Mt 22,40). La questione, aggiungono, non è quella d’un dialogo ecumenico corretto tra le elite di capi religiosi. Si tratta di assumersi la responsabilità della pace mondiale, specie con la minaccia delle armi moderne e l’imbricata convivenza ovunque di cristiani e musulmani. “Il futuro stesso del mondo è in pericolo”. “Le stesse anime nostre eterne sono pure in pericolo se non ci impegneremo generosamente e sinceramente in favore della pace e dell’interrelazione armoniosa.” “Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima?” (Mt 16, 26)
Alla fine si ricorda la necessità di non farsi concorrenza che nell’esercizio delle virtù e la pratica del bene nel rispetto reciproco e la giustizia nella benevolenza. Il nostro pluralismo è infatti voluto da Dio stesso (cfr. Cor 5, 48).
Devo confessare che resta qualcosa del mio timore verso un possibile accordo dei poteri religiosi in vista della pace paludosa dello status quo. L’evaquazione dell’escatologia dalla storia non può che scoraggiare ed incattivire gli oppressi! Resta che l’opzione per la pace, anche se una pace di seconda scelta, è comunque prioritaria, almeno fino a quando non diventeremo capaci di combattere assieme per la giustizia con le mani nude della non violenza… Allora la carica polemica dell’Islam offrirà un dono alla volontà di riforma della società umana.

Una versione breve di questo articolo è pubblicatà nella edizione di marzo 2008 nella revista popoli

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