L'islam e il Sinodo: un appello

 

Nell'ottobre del 2008 si svolgerà a Roma il Sinodo dei vescovi cattolici sul tema della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. La segreteria generale del Sinodo ha pubblicato una prima stesura (lineamenta) del testo che, rielaborato, servirà da ordine del giorno. Nel documento c'è una sezione (i numeri 29, 30 e 31) sulla Parola di Dio, «luce per il dialogo interreligioso». Vi si prende atto delle nuove esigenze e dei compiti inediti connessi globalmente con la relazione interreligiosa.

Il paragrafo dedicato al popolo ebraico è piuttosto ampio. Si ricorda che cristiani ed ebrei sono i figli di Abramo radicati nella stessa alleanza. La Prima Alleanza non è revocata e l'esistenza del popolo eletto è e rimane d'ordine soprannaturale. Inoltre si sottolinea l'importanza del contributo della comprensione ebraica della Bibbia per l'intelligenza cristiana delle Scritture. Si richiama infine la necessità di superare ogni forma di antisemitismo e di antiebraismo.

Il paragrafo 31 è dedicato alle altre religioni. Vi si insiste, a differenza del precedente, sul dovere ecclesiale d'evangelizzazione. Le religioni non vi sono nominate. Si mette in guardia contro la definizione del cristianesimo come «religione del Libro», alludendo alla posizione musulmana. Si critica il sincretismo, specie nella relazione tra la Bibbia e i testi sacri delle religioni. Si ripropone in positivo il discernimento ecclesiale dei semi del Verbo presenti nelle religioni e culture non cristiane. Infine, si rammenta che l'ascolto di Dio deve condurre a superare tutte le forme di violenza.

La mia speranza, e anche il motivo di questo intervento in nome d'Ismaele, è che questo paragrafo 31 sia riformulato. L'islam non è straniero al contesto biblico. È nato in un ambiente semita arabo «pagano» già fortemente permeato da elementi ebraici e giudeo-cristiani. La sua originalità, radicata nell'esperienza muhammadica, non è separabile dall'interconnessione con la rivelazione biblica. Il Corano ha un carattere oracolare in qualche modo analogo alle profezie bibliche. L'attitudine islamica tende poi a intendere la Bibbia sulla base del modello coranico.

Quando i cristiani e gli ebrei sono definiti «Gente del Libro», l'intenzione non è riduttiva né polemica. Sono semplicemente considerati come coloro che hanno ricevuto una rivelazione autentica prima di quella muhammadica. Ed è su questa base che le religioni «celesti», ebraica e cristiana, hanno il loro posto e ruolo riconosciuto nella società musulmana tradizionale.

Nel nostro monastero nel deserto siriano c'è un affresco che rappresenta gli evangelisti che leggono in cielo pagine divine in lingua siriaca e le copiano tali e quali in terra, mostrando così una comunanza simbolica con il contesto musulmano. È interessante notare che il Corano nasce orale (il Profeta è analfabeta), ma è già in relazione con i libri e le pagine antichi delle civiltà contigue al deserto d'Arabia.

Quanto a noi, è così equivoco l'esser considerati «Gente del Vangelo»? Certo, poi spiegheremo ai nostri amici musulmani che la Buona Notizia è per noi la persona stessa di Gesù. Resta vero che, centrata e radicata in Cristo, la Sacra Scrittura è Parola di Dio! Nella visione musulmana Parola e Libro non sono opposte come oralità e scrittura. Ciò che è scritto in cielo ed è rivelato in terra è proprio il Verbo eterno. Nel Vangelo ci vien chiesto di gioire poiché i nostri nomi sono scritti in cielo: si tratta d'un cielo-libro o d'un libro celeste? Il cielo della gioia è l'armonia tra i figli di Abramo!


© FCSF - Popoli
Questo Articolo era pubblicato nella edizione di febbraio 2008 della revista popoli

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