Caro Ismaele, buon anno!

Questa rubrica compie un anno e mi piacerebbe, per quello nuovo, iniziare uno scambio con voi lettori sulle piccole e grandi esperienze di dialogo islamo-cristiano. Ci è rimasta impressa l'immagine della visita del re saudita Abdullah al papa Benedetto, il 6 novembre scorso, in particolare l'istante nel quale questi sfiora timidamente la spada preziosa che il musulmano, Guardiano dei Luoghi sacri, gli offre. Ne parlai a caldo, in un incontro organizzato da Popoli a Milano la sera successiva, immaginando ciò che con quel gesto Abdullah volesse dire: «La spada, Santo Padre dei cristiani, significa anzitutto la fede. Ne ho vista una magnifica in mano all'apostolo Paolo sul ponte di Castel Sant'Angelo! La spada è combattimento spirituale; essa dice l'incarico del quale uomini come Lei e me si cingono per salvaguardare il bene, la giustizia, la verità e soprattutto per proteggere i poveri. La spada, crociata o saracena, è stata tra noi inimicizia. Ora, incastonata di rare virtù, dica rispetto, venerazione, fraterna corresponsabilità».


L'amico Bishara, pastore protestante ad Aleppo, ha trovato in internet diversi articoli in arabo critici verso la scelta di quel dono, scioccante per l'Occidente ed espressione d'un cliché negativo dell'islam. Al contrario io ho apprezzato questo nobile gesto con il quale il monarca saudita ha voluto, con il suo tradizionale e originale linguaggio, onorare il capo cattolico, riconoscendogli la massima dignità.

Come molti giovani musulmani, specie quelli delle periferie-mostro del Terzo mondo, non ho alcuna devozione per i re e tendo, ferma restando la scelta della lotta non violenta per la giustizia, a simpatizzare per i movimenti musulmani rivoluzionari. Tuttavia, un certo fascino lo sentiamo per queste personalità cariche di storia delle nostre società nella loro dimensione più sacra. Sarà pure reverenziale timore per l'autorità, più o meno rivestita di sacralità nelle nostre due religioni, ma l'incontro del sovrano maomettano col discepolo di Gesù successore di Pietro, un certo brivido di speranza me l'ha dato. Che poi, assieme, abbiano insistito sull'importanza del trialogo abramitico, che deve coinvolgere anche la comunità ebraica in vista della pace di Gerusalemme, mi è parso profetico. Il papa ha molto opportunamente e diplomaticamente fatto riferimento al valore della presenza di immigrati cristiani nel regno wahabita. È certamente penosa la situazione dei non musulmani in Arabia Saudita e contrasta con il grande rispetto per la libertà religiosa che caratterizza altri paesi del Golfo, dove la Chiesa gode ormai d'un certo spazio istituzionale. È da sperare che lentamente si compiano i passi per una presenza diplomatica e pastorale della Chiesa cattolica anche nel regno saudita. Più che il linguaggio della reciprocità, al quale viene contrapposto il diritto alla diversità, potrà il dialogo della cordiale considerazione dei valori più sacri della società saudita. Saranno loro a trovare poi le vie originali per accogliere il giustissimo desiderio della Chiesa d'essere di nuovo presente nella penisola com'era al tempo del Profeta. Egli, infatti, riceveva a Medina le delegazioni cristiane permettendo loro di pregare nella moschea dell'oasi.

Il nostro tempo sviluppa pragmaticamente modi d'intesa plurali e diversificati secondo le culture, i contesti e gli interessi. I governanti europei senza scrupoli fanno affari con i Paesi più antidemocratici, quasi a dimostrare che il cinismo premia. La Chiesa deve parlare a tutti e accogliere tutti senza precondizioni. Però i cristiani, ovunque e con tutti, dovranno operare per superare la logica internazionale e promuovere quella interpersonale per passare dall'Onu dei regimi alla democrazia globale. Sulla lunga distanza questo dovrebbe permettere ai Paesi più arretrati istituzionalmente (che non significa non siano portatori di grandi valori culturali) di raggiungere la carovana dei diritti dell'uomo.


© FCSF - Popoli

Questo Articolo era pubblicato nella edizione di gennaio 2008 della revista popoli

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