Dissetare i samurai

Per il deserto passano anche i giapponesi. N. è pittrice. Dopo il battesimo a Tokyo, s’era messa in viaggio con la carta da disegno di riso e i colori della sua terra. Ha passato con noi, nella gioia, il suo primo Natale da cristiana; poi ha sofferto molto a causa di persone poco cristiane... Ho visitato la sua personale: Lo sguardo della pittura giapponese sul Medio Oriente. In un grande dipinto, intitolato Pietà, il sole si leva sul monastero e sul deserto; a ovest si riconosce il Mediterraneo; nel centro, una donna asiatica: l’abito ricamato è quello tipico delle palestinesi. Il quadro dice sconfinatamente, eppure con squisito riserbo, il dolore della misericordia. 

K. è rimasto una settimana, perlopiù in silenzio. Fisico d’atleta e sorprendente conoscenza dell’arabo. Brevi conversazioni durante i pasti. Riserbo e rispetto. L’ultimo giorno ha chiesto di parlarmi; ci siamo seduti sul muro della diga in un pomeriggio di nuvole e vento. M’ha detto che sarebbe tornato presto in Giappone. In Arabia Saudita aveva aderito all’Islam, con serietà e passione. Guardandolo, mi pareva di vedere un samurai al jihad... È stato avvicinato da estremisti pericolosi. Ha sofferto una profonda delusione, gli è sembrato d’aver perso la sua identità. Si era innamorato di Dio e questi l’ha deluso. Ora dice di voler ritrovare le sue radici spirituali. Parliamo di Abramo, di Muhammad, dei templi in legno che si specchiano nei laghi della sua isola. Lo invito a non buttar via la sua relazione con il Dio dei profeti. Gli auguro di poter riconciliare la sua identità tradizionale con la sua ribellione islamica alla globalizzazione capitalista proterva e spersonalizzante. È forse il volto del Buddha che lo ha salvato dalla violenza; ora porterà a casa un cuore malato d’universale e sempre assetato del Tu divino.
O. veniva dal Canada, di passaggio verso casa: la mamma ha bisogno di lei. In America ha studiato violino. Ha frequentato un gruppo evangelico, ma non s’è trovata. Siamo sulla terrazza che dà sulla steppa. La più ordinaria delle conversazioni è spesso la porta per la più profonda: «Il mio cuore fonde». È ripartita come un uccellino migratore, lasciandoci il suo violino: «Mi fa piacere lasciarlo qui perché spero di tornare». 
Stamattina M. è venuta a sedersi nell’ufficio. Durante la meditazione, ieri sera, mi dicevo: «Chissà cosa pensa la giovane dottoressa abituata a quelle meravigliose statue del Soto-Zen». Per la Messa le abbiamo dato una Bibbia in giapponese. Chiarisce: «Sono buddhista. È la prima volta che partecipo a una meditazione cristiana. Come si fa?». «Ricordo un grande monaco del suo Paese - le ho risposto - che è stato così gentile d’accogliermi nella sua stanza d’albergo per la meditazione. Scioglieva la sua posizione perfetta per venire a correggere la mia di principiante, con caritatevole rispetto. Noi, giudei, cristiani e musulmani, figli di Abramo, cerchiamo l’unione personale con Dio approdando a tratti a un grande e unificante silenzio d’amore. L’anima del Buddha è tutta luminosa di quell’amore compassionevole». «Sa - mi dice - mi sono ammalata. Ho fatto anche trentasei ore di guardia di filato». «Il Crocefisso che guardava ieri sera le chiede di non vergognarsi della sua debolezza, del senso di fallimento, del limite». «Sono la grande di casa: bisogna essere sempre perfetti, i primi, piacere ai genitori». «Non è debolezza piangere. Piangono anche i samurai». Scorrono le lacrime nel deserto come i ruscelli del Fujiama.




Questo Articolo era pubblicato nella edizione di Agosto-Settembre 2007 nella revista popoli

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