Negazionismo islamico

Nell'estate del 1989, in occasione della Preghiera Interreligiosa per la Pace, visitammo i campi di sterminio di Aushwitz e di Birkenaw (CONTROLLARE L'ORTOGRAFIA!). Accompagnavo una delegazione musulmana e raccolsi diverse e contraddittorie reazioni. Un giovane intellettuale, ideologicamente accecato, riusciva ancora a negare la verità del genocidio trovando il carcere piuttosto ben organizzato. Un altro dignitario confessava invece sconvolto che quella visita lo aveva profondamente trasformato!

Ora è un fatto che gli argomenti aberranti del negazionismo occidentale, in alcuni casi anche cristiano, sono largamente recepiti in contesto musulmano in funzione del conflitto israelo-palestinese. Gli atteggiamenti antisemiti di tipo razziale non sono tradizionali in ambiente musulmano e l'antigiudaismo dottrinale è mitigato dal regime musulmano di tolleranza. Come mai allora i miti negazionisti, perversamente abbigliati di pretesa scientificità, si son fatti strada nell'opinione pubblica araba (cristiani inclusi) e musulmana?

Ho letto con profitto l'articolo di Gad Lerner sulla Repubblica del 29 Gennaio. Egli cerca le radici del negazionismo nella teologia cristiana del disprezzo del popolo di dura cervice, nella dottrina della sostituzione d'Israele da parte della Chiesa e nelle commistioni ideologiche tra cristiani e nazifascismo. La Chiesa non avrebbe "risolto il problema teologico della persistenza ebraica nel mondo". Di qui verrebbe la difficoltà ad impegnarsi in un vero dialogo interreligioso senza derubricarlo a dialogo interculturale... "Così si rinuncia a quel dialogo che per divenire efficace – prosegue Lerner – comporta la disponibilità a rimettersi in discussione grazie, e non contro la propria fede".

Sono daccordo, e aggiungerei che tanto Israele (qui teologicamente inteso) che la Chiesa mostrano di non riuscire facilmente a farsi una ragione dell'avvenimento e della durata islamici. La Terra Santa è allora come il luogo storico e teologico dove si realizza la visione interreligiosa d'ognuna delle tre comunità abramitiche, e purtroppo si tratta spesso di visioni che si escludono vicendevolmente. Di qui la tendenza ad escluderci gli uni gli altri proprio dalla Terra Santa!
Sempre più chiaramente la riteologizzazione del conflitto israelo-palestinese contrappone la visione giudaica della Terra Promessa - di tutta la Terra Promessa come spettante al Popolo d'Israele - a quella islamica, dove la Terra Benedetta è ormai interamente consegnata in eredità definitiva alla Comunità monoteistica finale, alla Umma del Profeta Muhammad.
Quando i movimenti religiosi radicali vincono le elezioni e si impongono con le armi all'interno degli schieramenti opposti, gli scenari più allarmanti si annunciano e si realizzano: espansione della colonizzazione in Cisgiordania, minacce di deportazione nei confronti degli arabi israeliani, jihad all'ultimo sangue, allargamento regionale del conflitto, globalizzazione della guerra tra israeliti e musulmani. Per ora abbiamo dovuto sopportare l'orrore della disproporzione totale dell'azione militare israeliana a Gaza risoltasi, dal punto di vista islamista, con una grande vittoria culturale e strategica di Hamas, anche per effetto della guerra delle immagini via internet. Non bisogna dimenticare che la teoria delle violenze che si equivalgono non vale per i palestinesi ai quali è stata rubata la terra e l'indipendenza fin dal 1948.

Il negazionismo islamico si coniuga quindi con il desiderio di rendere del tutto e radicalmente ingiustificabile la creazione dello Stato d'Israele in Palestina allorquando questo stato è percepito come una negazione altrettanto radicale dell'identità nazionale e religiosa palestinese. Se la Shoà giustifica, agli occhi degli europei e degli americani, la creazione a spese altrui dello stato rifugio delle vittime della follia antisemita, allora la negazione della Shoà diventa un corollario, certo non condivisibile, dell'affermazione dell'illeggitimità d'Israele. Attenzione, per la mentalità musulmana maggioritaria non è fino ad ora del tutto impossibile immaginare uno stato d'Israele in Terra Santa, ma ciò deve coniugarsi con il riconoscimento "sacro" delle rivendicazioni arabo islamiche a cominciare da Gerusalemme-al-Quds. Non è il caso di dare delle pagelle di barbarie a questi o a quelli. Qui siamo nell'ambito delle guerre sante, dell'uso necessario della forza, della resistenza doverosa, dell'occhio per occhio e del dente per dente ... e sarà bene che i cristiani non pensino di poter stare alla finestra!
Sarà meglio prender posizione per una globalizzazione della responsabilità. La collettività internazionale dovrebbe decidersi ad agire efficacemente in un'ottica di nonviolenza ma non di dimissionaria assenza. Sarà opportuno che la collettività globale imponga la separazione dei contendenti intesa come soluzione contingente e penultima, in vista dell'apertura dei "negoziati teologici" che dovranno svolgersi in vista d'un accordo di pace a carattere escatologico! Il passaggio dalla negazione dell'altro al riconoscimento altrui non può che essere reciproco, e beato chi saprà prendere l'iniziativa.


© FCSF - Popoli

Questo Articolo era pubblicato nella edizione di gennaio 2008 della revista popoli

Italian